Il filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman, scomparso nel 2017, è stato il teorico della “società liquida”, intesa come in continuo divenire, con relazioni e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, senza certezze.
Uno dei suoi libri si intitola L’arte della vita (Laterza, 2009) ed in esso viene sottolineato come noi siamo felici finché non perdiamo la speranza di essere felici in futuro. Viviamo una vita al confine: emozionante, perché sempre in cerca di nuove sfide, ma allo stesso tempo logorante, poiché non mancano le difficoltà.
Proponiamo un passo tratto dal suo saggio:
La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane.
Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.
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