Il no allo stalking

a cura di Gaia Pesce, 5AC – Liceo Classico di Ordinamento

L’11 novembre 2024 si conclude il processo di Filippo Turetta con una condanna all’ergastolo e una somma di 1.150.000€ da risarcire alla famiglia di Giulia Cecchettin.

Tra le aggravanti che gli sono state attribuite sono state negate quella di stalking e quella della crudeltà: è per questo che la sorella della giovane, Elena Cecchettin, si sfoga sui social. 

La ragazza su Instagram afferma:  “Il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto della famiglia della vittima. Ed è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne”. Una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Si chiama verità giudiziaria, ed è quello che viene riportato dal verdetto. E basta. Non toglie il dolore, la violenza fisica e psicologica che la vittima ha subito. Ciò che è successo non sparisce solo perché un’aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l’ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che ha provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto della famiglia della vittima. Detto questo, il non riconoscimento dello stalking (non parlo dell’altra aggravante perché la situazione si commenta da sola) è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta. Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi viene riconosciuta una colpa? Però va bene con le frasi melense il 25 novembre e i depliant di spiegazione”.

Le parole forti di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, hanno scosso l’opinione pubblica e acceso un dibattito importante sulle dinamiche della violenza di genere. Non c’è dubbio che le sue parole siano state impattanti, ma in caso contrario la sua voce non sarebbe stata ascoltata con la stessa forza. Elena ha espresso il dolore e la frustrazione di chi ha perso una persona cara e continua a lottare per ottenere giustizia. La sua denuncia si è concentrata sul fatto che, nonostante la gravità della situazione, non sia stato riconosciuto lo stalking tra le aggravanti del processo a Filippo Turetta. Questo, per lei, rappresenta una mancanza di rispetto nei confronti della famiglia della vittima e un’ennesima conferma del disinteresse delle istituzioni per le donne. Elena ha scritto su Instagram: “Il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto della famiglia della vittima”. A suo avviso, la verità giudiziaria non può cancellare la violenza subita dalla sorella e non può ridurre il dolore e l’ansia vissuti da chi è rimasto accanto a lei. 

Non si tratta solo di un lamento personale, ma di una richiesta di giustizia che riguarda tutte le donne. È una riflessione su un sistema che, spesso, non riconosce i segnali di pericolo finché non è troppo tardi. Una sentenza non può cancellare il dolore che una vittima e la sua famiglia hanno provato. Eppure, non è solo il caso di Giulia a dimostrare la gravità del fenomeno. Giulia aveva scritto una lista di 15 motivi per cui aveva deciso di interrompere la sua relazione con Filippo, e le sue parole sono terribili nella loro chiarezza. “Tendenzialmente i tuoi spazi non esistono”, ha scritto Giulia, riferendosi al controllo ossessivo del suo ex fidanzato. Un altro motivo citato è stato: “C’è stato un periodo dopo esserci detti ‘buonanotte’, in cui mi mandava sticker finché non vedeva che non ricevevo più messaggi, per controllare che fossi andata veramente a dormire”. Questi segnali non sono da leggere come semplici preoccupazioni di coppia, ma come chiari indizi di una grave instabilità mentale e di una forte ossessione nei confronti della fidanzata. Filippo, infatti, cercava assiduamente Giulia e pretendeva di sapere ogni spostamento della ragazza, limitando la sua libertà in maniera progressiva, fino a trasformare la sua relazione in una vera e propria persecuzione. Il controllo della vita della propria partner, come nel caso di Giulia, non è un segno d’amore, ma di una patologia che va combattuta e che, spesso, sfocia in atti di violenza.

Nel 2024, si è registrato un aumento del 6% degli atti persecutori rispetto all’anno precedente. Nei primi nove mesi del 2024, sono stati 48.000 i contatti tramite telefonate, chat o app segnalati come atti di stalking. Questi numeri sono solo la punta dell’iceberg, dato che spesso le vittime non denunciano o non ricevono l’adeguata attenzione dalle autorità. Secondo l’ultima indagine, risalente al 2014, almeno il 21,4% delle donne tra i 18 e i 70 anni ha subito stalking da parte di un ex partner, una cifra che evidenzia la portata del fenomeno. Inoltre, un’analisi di 211 femminicidi ha rivelato che il 63% delle donne uccise aveva precedentemente subito altre forme di violenza, spesso non denunciate, e che l’1,3% degli uomini denunciati per stalking aveva poi commesso un femminicidio. 

Questi dati indicano chiaramente un trend preoccupante, un fenomeno che sta aumentando e che, purtroppo, riguarda anche le giovani generazioni. L’idea di controllo della propria partner, diffusa ormai anche nelle relazioni adolescenziali, è spesso erroneamente accettata come parte della dinamica di una relazione. Controllare il telefono dell’altro, sapere ogni mossa della compagna/o, chiedere la posizione sul telefono sono comportamenti che non dovrebbero essere tollerati eppure vengono visti come atteggiamenti abituali. Si tratta di segnali di una società che sta perdendo la distinzione tra amore e ossessione, tra affetto e dipendenza affettiva. È importante, quindi, che il controllo non venga mai giustificato e che le dinamiche violente vengano riconosciute e punite, prima che la situazione degeneri.

Purtroppo, ci sono molte storie di femminicidi che hanno avuto come motivo principale il desiderio degli uomini di mantenere il controllo sulle proprie partner. L’esempio di Sara Di Pietrantonio è emblematico: è stata strangolata e bruciata viva dal suo compagno, che non accettava la fine della loro relazione. Un altro esempio è quello di Giordana Di Stefano, che è stata uccisa dal suo ex compagno, nonostante avesse denunciato precedenti atti persecutori. Infine, Deborah Ballasio è stata uccisa dal marito, che aveva già mostrato comportamenti violenti e vessatori.

Questi esempi rappresentano storie di donne che hanno perso la loro vita e la loro libertà. È essenziale che come società riconosciamo e affrontiamo tempestivamente i segnali di violenza, per prevenire la distruzione di altre vite a causa del desiderio di controllo e possesso di chi cerca di dominare le scelte e la libertà altrui.

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