a cura di Gaia Pesce, 5AC – Liceo Classico, indirizzo di Ordinamento
“Corri ragazzo corri” è uno di quei film che ti toccano nel profondo e che meriterebbe di essere visto nelle scuole. Diretto da Pepe Danquart e basato sulla storia vera dell’insegnante polacco Yoram Friedman, racconta la lotta contro la sopravvivenza di un bambino ebreo durante uno dei periodi più oppressivi della storia: la Seconda Guerra Mondiale. Ma questo film non si limita a raccontare storicamente ciò che è accaduto durante la Shoah, bensì è un racconto di ostacoli, della rivendicazione della propria persona, di una grande forza d’animo e, soprattutto, di umanità.
Il film si apre con la presentazione di Srulik, un bambino di otto anni che si ritrova a dover fuggire dal ghetto di Varsavia dopo aver visto morire la sua famiglia. La guerra, nonostante la sua giovane età, gli ha già fatto pagare un conto salato, privandolo della casa, della salvezza, persino del diritto di vivere la spensieratezza che caratterizza i bambini. Ma il ragazzo è determinato a combattere per la propria sopravvivenza. Srulik si rifugia in qualsiasi luogo possibile: zone boschive, tra il gelo e la fame, dove è costretto a sopportare condizioni di vita inverosimili.
Lungo il suo percorso, Srulik cambia identità e diventa Jurek, un orfano cattolico per cercare di camuffarsi tra i bambini che stanno vivendo una vita normale. Questa trasformazione non è solo una necessità per salvarsi dai nazisti, ma un vero e proprio tradimento delle sue origini: è costretto infatti a rinnegare tutti i valori che gli erano stati insegnati, per dover imparare nuove correnti filosofiche, una nuova religione e un mondo che non riesce ad accoglierlo.
Ciò che colpisce di “Corri ragazzo corri” è il contrasto tra il bene e il male, tra un popolo che cerca di resistere e la violenza della guerra. Da un lato alcune persone sono pronte a tendere una mano a Srulik, come dei contadini che gli offrono rifugio o delle famiglie che rischiano la propria vita per proteggerlo; all’opposto, ci sono i tradimenti, le denunce, l’indifferenza di chi sceglie di girarsi dall’altra parte.
Ogni incontro che Srulik affronta è una lezione di vita per lui, che sia positiva o negativa. Il film ci ricorda che la guerra non è solo fatta di carri armati e battaglie, ma anche di scelte, di persone comuni messe davanti a decisioni straordinarie. Vuol far capire che se desideriamo il cambiamento, siamo noi i primi a dover cominciare.
La regia di Pepe Danquart è molto sobria e per questo dona rispetto al racconto. L’intento non è solo quello di forzare l’emozione dello spettatore: al contrario, il regista fa sì che sia la vicenda reale a parlare attraverso immagini e silenzi.
Infatti le foto rappresentate a parer mio sono il punto forte di questo film: la Polonia nuda e cruda che ha privato della propria infanzia bambini come il protagonista.
Inoltre, l’attore che prende il ruolo di Srulik è stato molto efficace nel trasmettere l’atrocità di quel tempo, non ci sono numerosi monologhi, ma il suo viso nelle scene vale più di mille parole.
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