di Anna Gomirato
Profondo rosso è un cult thriller/horror prodotto nel 1975.
Durata 127 minuti, regia di Dario Argento, intepreti: David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Giuliana Calandra e Clara Calamai.
Deep red (titolo originale in lingua inglese), un titolo che interrompe la trilogia zoologica dei precedenti thriller di Argento: L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto dalle nove code (1971) e Quattro mosche di velluto grigio (1971).
Ma Profondo Rosso ha ben poco a che fare con i film antecedenti del maestro italiano dell’horror. In questo film, Argento volle liberarsi dai limiti imposti dalla logica e dalla razionalità, per citare testuali parole del regista: “Non era più il classico thriller; c’era qualcosa di inquietante, di forte, di nuovo”. Il film, difatti, segna il suo passaggio alla sua produzione più oscura e lugubre: horror, come Suspiria (1977) e Phenomena (1985).
Una cantilena infantile fa da sottofondo a un omicidio commesso da un’ombra, a un coltello insanguinato che cade e a delle scarpe da bambino che si avvicinano. Titoli di testa. Così ci invita Dario Argento ad intraprendere un viaggio nella sua macabra fantasia.
Il pianista jazz Marc Daly (David Hemmings) si fa coinvolgere nella caccia ad un pericoloso serial killer dopo aver assistito ad un omicidio di una sensitiva che stava per rivelare la sua identità. Viene aiutato, anche se controvoglia, da Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), una determinata giornalista in cerca di un articolo succulento. La voglia di sangue dello spietato assassino è insaziabile e i suoi obiettivi sono proprio coloro che potrebbero aiutare Marc nelle indagini.
Come si può notare, sin dai primi secondi del film, il maestro dell’horror ci intrappola in una cortina di inquietudine e suspence dalla quale è impossibile uscire per tutta la durata del film. La trama si ramifica su un gioco di sospetti, parole non dette e indizi lasciati in giro qua e là. Tutti i personaggi sono abbastanza instabili psicologicamente, tanto da farli dei possibili colpevoli.
Profondo Rosso si potrebbe paragonare ad un labirinto nel quale pensiamo di aver trovato l’uscita quando in realtà siamo nella direzione opposta; comunque, qualsiasi percorso scegliamo di prendere, sarà eccitante. L’atmosfera angosciante è basata sulle note altalenanti di una musica sinistra (a opera di Giorgio Gaslini e il gruppo rock “i Goblin”), su inquadrature che lasciano solo intravedere il peggio e su riprese in soggettiva dal punto di vista dell’assassino.
Il film è stato girato negli anni ‘70, quindi la risoluzione delle immagini non è delle migliori e i momenti di colluttazione non sembrano molto realistici, ma lo spettatore è troppo terrorizzato per farci caso. Gli avvenimenti sono messi in scena in maniera frammentata per destabilizzare lo spettatore, fargli perdere i suoi punti di riferimento e creare falsi raccordi. Come se non bastasse, Argento volle che le scene fossero girate in diverse città, Torino, Roma e Perugia, per confondere geograficamente lo spettatore.
Come dice Bernardino Zapponi, che ha scritto il film con Argento, ci sono tanti particolari fastidiosi che causano allo spettatore un malessere continuo. Infatti ogni cosa all’interno del film suggerisce pericolo e minaccia, e ogni elemento coopera, snodandosi e intrecciandosi, per creare una sola cosa: morte.
Il film sarebbe adatto ad un pubblico che non si impressiona facilmente; dopo i titoli di coda ve ne starete imbambolati davanti allo schermo con dei sentimenti misti tra meraviglia, terrore e stupore – non penso di essere stata l’unica a sentirmi così!
E’ un tale un capolavoro che pure coloro che disprezzano o hanno paura degli horror possono solo rimanerne soddisfatti dall’averlo visto.
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