a cura di Giulia Gallo, 3A – Scuole Medie
Berardo e i suoi amici vollero giocare a nascondino. Quali mai sarebbero state le conseguenze di un gioco così innocuo? Purtroppo loro non non se ne preoccuparono. Abitavano in una collina sperduta dove in cima c’era solo un’enorme fattoria abitata da una decina di famiglie. Anche se avevano origini diverse vivendo insieme erano diventati inseparabili, non solo gli adulti, ma anche i bambini. Erano un’unica grande famiglia! I piccoli venivano lasciati un po’ a se stessi, perché tanto che cosa poteva succedergli? L’unico divieto che avevano era quello di non entrare nel bosco perché erano una via dritta per la morte. Ma i bambini, sono bambini…
Un bel giorno soleggiato i bimbi si svegliarono all’alba, uscirono di casa e non diedero retta al bel paesaggio mozzafiato: il colore rosa dell’alba che illuminava ogni singolo filo d’erba facendolo diventare oro, l’aria fresca di mattina e all’orizzonte un bosco che sembrava non avesse mai fine. Dato che quello per loro era il paesaggio di tutti i giorni passarono avanti e decisero di giocare a nascondino, un gioco del tutto tranquillo vero? Saranno stati una quindicina di bambini tutti in sintonia con l’altro. Sembrava fossero tutti fratelli, ma come si sa anche in una famiglia non tutto fila sempre liscio. Berardo era un bambino biondo di otto anni, alto e magrolino, ma soprattutto non aveva paura di niente. Lo rappresenta la sua voglia di vincere sempre, si impegna al massimo per ottenere ottimi risultati in tutto ciò che faceva. Proprio per questo fatto che lo spronava a fare meglio era considerato il bambino prodigio da tutta la famiglia, ma come si può ben immaginare l’invidia non se ne resta mai a casa sua… Claudio, il bimbo più grande cominciò a contare: “Uno, sei, tre, undici,…” purtroppo questi bimbi non avevano avuto il privilegio di essere istruiti a modo, ma loro se la spassavano lo stesso. Tutti si nascosero ma chissà al piccolo Berardo cosa gli saltò per la testa? Tra sé e sé si disse: “Perché non andare nel bosco, lì non mi troveranno mai!” Mise in atto la sua idea senza pensare alle conseguenze che gli sarebbero spettate. Claudio lo vide entrare, ma non fu il suo primo pensiere andare a cercarlo. Nel mentre Berardo tutto impavido proseguì verso la sua avventura. Piano piano il sole cominciava a calare, gli alberi coprivano sempre più luce e agli occhi di Berardo diventavano sempre più alti. I rumori rimbombavano sempre di più finché la luna non salì definitivamente in cielo, così splendente da riuscire ad illuminare anche le notti più buie. Il piccolo Berardo era stato fin troppo bravo che riuscì a sfuggire ai suoi amici, ma riuscì anche ad ingannare se stesso. Non trovava più la via del ritorno. Nella sua testa continua a ripetersi di stare calmo, ma per quanto ci riuscirà? Cercava la via del ritorno disperatamente mentre il bosco diventava sempre più buio, le sue gambe sempre più stanche, il suo stomaco sempre più affamato e la mente sempre più affaticata. Il livello di adrenalina era alle stelle. Ad un certo punto il corpo non riuscì più a stare in piedi, cadde a terra e i suoi occhi si chiusero immediatamente. Lo risvegliò una luce, pensava di essere morto, invece era solo quella del sole che gli penetrava negli occhi. Per andare avanti e sopravvivere doveva far finta che tutto ciò fosse un gioco di sopravvivenza. Mise in atto quello che sapeva avendo giocato nelle colline a fare l’esploratore, cercò bacche e provò a distillare l’acqua come gli avevano insegnato. Per ora riuscì a “restare in gioco.” Però non durò per molto l’idea dell’esploratore. La malinconia e la nostalgie furono le prime a farsi sentire. Ad alcune persone una volta stanche scende l’angoscia e purtroppo Berardo si lasciò prendere dallo sconforto. Cominciò a riflettere a lungo sulla sua vita, la sua famiglia e ad altri argomenti toccanti che non pensi durante la vita quotidiana, ma solo quando hai solo la tua mente come sola compagnia. Fece pensieri molto filosofici per ingannare il tempo, i quali non sembrerebbero di un bambino di soli otto anni. Il giorno dopo arrivò, ormai Berardo non sembrava più lui era diventato tutto abbronzato, aveva capelli lunghi, e il viso e i vestiti sporchi. Il suo pensiero fisso era quello che se fosse tornato a casa non sapeva se lo avessero riconosciuto. Tra un pensiero e l’altro si accorse che il terreno e la vegetazione cambiarono. Il colore prevalente era diventato più verde militare, per terra i piedi si appiccicavano al suolo, dagli alberi pendevano lunghe liane, gli alberi erano così alti da impedire alla luce del sole di illuminare il suo percorso, l’odore di zolfo e uovo marcio era sempre più intenso e i rumori degli animali che abitavano il luogo rimbombavano nella sua testa. Berardo fece un bel respiro e tra sé e sé si disse: “Bene è cominciato il secondo round!” Chiuse gli occhi e si ricordò di quel libro che aveva letto, che trattava di un signore nella stessa sua situazione che costruì una zattera e si lasciò trasportare dalla corrente finché non lo riportò a casa. Non è che Berardo ci credette molto, ma non escluse il fatto di provarci. Dopo ore e ore si abituò all’odore stagnante, salì sulla zattera costruita con i materiali che aveva, la mise nel corso d’acqua pregò il Signore di farlo tornare a casa e si addormentò nelle mani delle acque della palude. I secondi diventavano minuti, i minuti ore e le ore giorni. Ormai perse sia il senso del tempo che le speranze, fino a quando… Intravide un raggio di sole più luminoso degli altri e con gli ultimi sensi che aveva capì che finalmente era uscito dalla palude. Troppo stanco per gioire, ma non abbastanza da smettere di sperare. Non si sa se fosse stata fortuna o il Signore al quale aveva chiesto aiuto, ma la zattera finì in un corso d’acqua, ma non uno qualunque, quello che Berardo e la sua famiglia utilizzavano per prendere l’acqua. Arrivò lì, finalmente dopo giorni era in un posto familiare, era felice, ma non aveva più forze per rialzarsi e camminare. Se avesse avuto il privilegio di continuare la propria vita era una scelta del destino. Berardo sentì dei rumori, ma i suoi occhi si chiusero all’istante, però la sua fede non cessò. Le voci provenivano da Claudio che incaricato di andare a prendere l’acqua trovò Berardo disteso per terra, a momenti non lo riconobbe neanche. Anche se tra i due non c’era una tale simpatia perfino lui era contento di rivederlo. Lo portò a casa dove venne messo immediatamente a letto… Si svegliò rintronato, ormai aveva perso la concezione di dove si trovava. Vide un’immagine femminile sfuocata, sembrava un angelo, ma più si avvicinava, più la sagoma diventava nitida: era sua madre. Da quanto fosse disidratato non riusciva neanche a piangere, ma era solo felice di essere tornato tra le braccia della sua mamma. Berardo fu nutrito, idratato e curato, ormai era tornato come prima. Fecero tutti una gran festa dove la gioia nel rivedere Berardo regnava tra le tavole imbandite.
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