di Laura Bonaiuto (5AM, Linguistico Moderno) e Linda Mazzon (3BA, Scientifico Scienze Applicate)
Con il termine inquinamento si fa riferimento a tutte quelle alterazioni ambientali causate, spesso e volentieri, dalle azioni poco lungimiranti dell’uomo.
La specie umana, infatti, con il passare degli anni, ha contribuito tantissimo al danneggiamento dell’ambiente: notiamo dunque sempre più frequentemente intere cappe di smog che avvolgono le città, acque sporche di mari e fiumi, spiagge inquinate dai rifiuti.
Tutto ciò rappresenta ovviamente un grave pericolo per il benessere psico-fisico dei cittadini, ma anche degli animali.
Quando si parla di inquinamento, si pensa sempre al cambiamento atmosferico e idrico, ma purtroppo ci sono molti altri casi meno conosciuti, tra cui l’inquinamento luminoso, acustico ed elettromagnetico.
- L’inquinamento acustico si ha in presenza di elevati rumori o suoni, che causano fastidi alle attività;
- L’inquinamento luminoso avviene quando c’è un’alterazione della quantità naturale di luce presente di notte nell’ambiente esterno, a seguito di un’immissione di luce artificiale;
- L’inquinamento elettromagnetico è causato da impianti di telecomunicazioni come radio, televisioni, reti per la telefonia cellulare, radar ed elettrodomestici.
Vediamo alcuni esempi degli effetti dell’inquinamento sugli animali.
L’ermellino
Le sorti dell’ermellino sono il simbolo dei disastrosi effetti innescati dal «climate change». Il piccolo mammifero ha due «vestiti»: d’inverno indossa una pelliccia bianca per mimetizzarsi nelle nevi e sfuggire ai predatori, mentre, nei periodi più caldi, passa invece a un colore bruno.
Le alte temperature che sciolgono i ghiacci hanno sorpreso l’ermellino negli ultimi anni: questo animale rimane infatti spesso con «l’abito sbagliato», fuori stagione.
Senza il bianco delle nevi, però, diventa facilmente visibile, una preda fin troppo semplice. La fuga verso Nord, in zone più fredde, è difficile: nel cammino i predatori sono numerosi.
Adattarsi ai nuovi ritmi della natura, magari cambiando pelliccia, è complicato e richiede centinaia, se non migliaia di anni, un tempo che l’ermellino non ha: la distruzione causata dall’uomo è più veloce.
I beluga
I problemi, per i beluga, sono cominciati con il surriscaldamento del Mar Glaciale Artico: l’aumento delle temperature ha dato il via libera a un’invasione di orche, che normalmente non si spingono nelle acque gelide del Polo Nord. I beluga sono così finiti nel mirino di questi mammiferi, di dimensioni molto più imponenti. Per evitare la mattanza, stanno fuggendo verso Nord, in cerca di acque più fredde, ma, a causa del surriscaldamento globale, il loro destino è segnato: con l’aumento delle temperature finiranno per trovarsi in un vicolo cieco.
Gli orsi polari
Ormai periodicamente circolano foto di orsi scheletrici e disorientati. Gli scienziati stimano che tra cent’anni il re dei predatori delle nevi potrebbe essere estinto. Lo scioglimento dei ghiacci sta infatti riducendo giorno dopo giorno la banchisa polare, l’habitat su cui l’orso si muove per andare a caccia. Per rimediare cibo è così costretto a nuotare per centinaia di chilometri, spesso portando con sé i piccoli che rischiano di non sopravvivere. Altre volte, invece, gli orsi si avventurano in territori abitati dall’uomo e vengono uccisi.
La riduzione del krill
Il krill è una sorta di “microgamberetto” alla base della catena alimentare dell’Antartide: se ne cibano i cetacei, i pinguini, le foche.
Il surriscaldamento delle acque ostacola la sua riproduzione, con un impatto a cascata su tutti gli altri animali, come in un gigantesco effetto domino: studi scientifici hanno rilevato una diminuzione generica del peso e della massa grassa degli animali che si cibano di krill
I ghepardi
La popolazione dei ghepardi sta diminuendo in tutta l’Africa. Il responsabile, ancora una volta, è il surriscaldamento globale. In questo caso, però, si tratta di un riflesso indiretto: le alte temperature stanno compromettendo la fertilità del mammifero più veloce, provocando una situazione allarmante per un animale abituato a vivere in zone calde.
«L’unica soluzione è aumentare le aree protette, dove la natura possa ristabilire il suo ritmo senza condizionamenti esterni», dice Isabella Pratesi, laureata in Scienze naturali e direttrice del programma di conservazione del WWF Italia.
Lo stambecco
Lo stambecco è un simbolo italiano minacciato. Oggi i cuccioli hanno il 25% di possibilità di sopravvivenza, la metà rispetto a pochi decenni fa. Il caldo e i nuovi ritmi della natura hanno ridotto la vegetazione disponibile nel periodo in cui nascono gli stambecchi, che non riescono a nutrirsi adeguatamente.
La popolazione del Parco del Gran Paradiso ha subito un rapido declino negli ultimi decenni e la «fuga» dalle aree protette verso ambienti più freddi è quasi impossibile.
L’inquinamento luminoso disorienta alcune specie
Gli animali notturni dormono durante il giorno e sono attivi durante la notte.
L’inquinamento luminoso altera radicalmente il loro ambiente notturno, trasformando la notte in giorno. Pertanto, per gli animali notturni, l’introduzione della luce artificiale rappresenta probabilmente il cambiamento più drastico che gli esseri umani abbiano comportato al loro ambiente.
I predatori utilizzano luce per la caccia e le specie predatrici utilizzano l’oscurità come copertura; il bagliore delle luci artificiali può influenzare anche gli habitat umidi che ospitano anfibi quali rane e rospi, il cui gracidio di notte fa parte del rituale che precede la riproduzione. Le luci artificiali disturbano questa attività notturna, interferendo con la riproduzione.
Nel caso dei piccoli delle tartarughe di mare, le luci artificiali possono portare perfino alla morte: le tartarughe marine, infatti, vivono nell’oceano, ma le uova si schiudono di notte sulla spiaggia.
Le tartarughe neonate trovano la via del mare rilevando l’orizzonte luminoso sull’oceano; le luci artificiali, invece, le disorientano, portando alla morte di milioni di esemplari l’anno.
Gli studi sugli effetti dell’inquinamento luminoso sui mammiferi sono ancora pochi, benché il 20% dei primati e l’80% dei marsupiali siano notturni, come gran parte dei piccoli carnivori e roditori, senza tener conto delle numerose specie di pipistrelli che popolano il nostro pianeta.
Alcuni animali si sono adattati a cacciare di notte e questo richiede particolari caratteristiche: vista potente, udito sensibilissimo, odorato efficace e notevole silenziosità nei movimenti.
Gli animali tipicamente notturni sopportano con fatica la forte insolazione del giorno.
I gufi e gli allocchi si muovono a notte fonda, perfettamente a loro agio nel buio completo grazie a udito e vista potentissimi.
I pipistrelli presentano un incredibile sistema di caccia ad ultrasuoni, efficace solo per attacchi al buio, in quanto riescono a “vedere” la preda senza essere né visti, né sentiti.
E’ dunque evidente che non solo l’uomo è soggetto agli effetti dell’inquinamento, ma anche numerosissimi animali.
L’uomo sta cambiando il volto di questo pianeta e sta costringendo molte specie a modificare la propria esistenza, talvolta mettendone a repentaglio la sopravvivenza.
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