di Sofia Maria Donà, 3AC (Liceo Classico)
Il prof. Pozzobon, laureato in Biotecnologie presso l’università di Padova, ci ha gentilmente concesso un’intervista per fare chiarezza sulla Covid-19, sulle sue origini e sui dubbi che ci assalgono giorno dopo giorno.
D: Esistono pareri contrastanti: alcuni credono che il virus sia stato creato in un laboratorio, altri pensano che provenga da un pipistrello venduto al mercato di Wuhan. Quali sono davvero le origini del virus?
R: Nessuna delle due ipotesi descrive la probabile origine del virus. Un gruppo di ricerca ha confrontato la sequenza della proteina Spike di SARS-CoV-2 con altri coronavirus presenti in natura, ed ha osservato che le differenze nella sequenza amminoacidica sono riconducibili ad un naturale processo di mutagenesi (Kristian G. Andersen et al., 2020).
Questo ci porta a considerare che l’origine più probabile del virus risieda in un normale processo di zoonosi o spillover, ovvero un processo attraverso cui un patogeno passa dall’animale all’uomo.
Considerata l’omologia nella sequenza del genoma del virus con altri coronavirus di pipistrello inoltre, si ipotizza che sia proprio quest’ultimo l’animale serbatoio o di origine, anche se non si sa ancora in che modo questo virus sia venuto a contatto con l’uomo.
D: Quali caratteristiche ha il virus? Perché è più preoccupante di una normale influenza?
R: E’ più preoccupante in quanto risulta molto più contagioso di una normale influenza e, in quanto patogeno emergente, non abbiamo ancora una conoscenza approfondita dei meccanismi di patogenesi e dei suoi effetti a lungo termine. Ricordiamo inoltre che questo virus, in una sensibile percentuale di casi, può portare a quadri clinici severi che possono sfociare in una polmonite interstiziale bilaterale profonda, con un tasso di letalità che nel nostro Paese ha raggiunto circa il 3% dei contagiati rilevati.
D: Nei giornali si è parlato tanto della cosiddetta “immunità di gregge”: cos’è?
R: L’immunità di gregge può essere definita come quel meccanismo in base al quale, con un numero sufficiente di persone immuni (in seguito a vaccinazione o per guarigione dalla malattia), si rallenta la circolazione di un patogeno, riducendo drasticamente la possibilità che questo possa infettare persone non ancora immunizzate o, che a causa di determinate patologie, non possono vaccinarsi.
D: Che differenze ci sono tra un vaccino e l’altro? Sono tutti validi allo stesso modo, nonostante le polemiche e le perplessità dei media?
R: …Preoccuparsi dei possibili effetti collaterali dei vaccini sarebbe un po’ come preoccuparsi degli effetti a lungo termine della schiuma ignifuga degli estintori durante lo scoppio di un incendio!
Al di là della battuta, le polemiche e le perplessità che i media trasmettono sono in gran parte infondate, infatti i vaccini oggi validati dagli enti competenti (FDA negli Stati Uniti, EMA in Unione Europea, AIFA in Italia) sono tutti altamente sicuri ed efficaci. I rarissimi effetti collaterali riscontrati sono superati di gran lunga dai benefici indotti dal vaccino. Recenti studi, inoltre, evidenziano come questi vaccini, oltre a proteggere dalla malattia (ovvero dai sintomi), proteggano in molti casi anche dalla trasmissione del patogeno; quest’ultimo aspetto si rivela di fondamentale importanza in un’ottica di ritorno alla normalità.
I vaccini al momento disponibili sfruttano due tecnologie diverse.
Con Pfizer e Moderna viene inoculato l’RNA messaggero codificante per la proteina Spike, quella utilizzata dal virus per entrare ed infettare le nostre cellule. Astrazeneca e Johnson & Johnson utilizzano una tecnologia diversa, detta a “vettore virale”: utilizzano cioè un adenovirus di scimpanzé non infettivo per l’uomo contenente DNA codificante anch’esso per le proteine virali di superficie.
Il risultato poi è il medesimo: le cellule del sistema immunitario sviluppano una risposta contro queste molecole e sono dunque in grado, in caso di infezione, di riconoscere il virus e di contrastarlo prima che si sviluppi la malattia. Ci tengo infine a sottolineare, per sfatare da subito alcune ridicole bufale, che nessuna di queste tecnologie prevede l’integrazione del materiale genetico nel DNA delle nostre cellule. L’espressione di questi geni, e le proteine che ne derivano, è solo temporanea: giusto il tempo per istruire il nostro sistema immunitario.
D: I vaccini sono efficaci nonostante il poco tempo impiegato per trovarli? Di solito la sperimentazione richiede più tempo…
R: In media, un normale vaccino richiede dai cinque ai dieci anni per essere studiato e dichiarato efficace; il vaccino per il Sars-Cov2, invece, è stato sviluppato circa in un anno. Eppure, sono stati rispettati comunque tutti i trial preclinici e clinici necessari. In questo caso, l’approvazione ha richiesto meno tempo per una conoscenza pregressa dei coronavirus e per una ingente quantità di denaro e risorse investite.
Stiamo parlando di una pandemia che ha colpito il mondo intero, quindi un gran numero di scienziati, medici e ricercatori di ogni nazionalità ha unito le forze al fine di trovare rapidamente una cura. A causa della massiccia diffusione della malattia, anche le decine di migliaia di partecipanti necessari ai trial clinici sono stati identificati velocemente, permettendo così agli scienziati di raccogliere dati statisticamente rilevanti in breve tempo.
L’iter per l’approvazione del vaccino è stato poi ulteriormente accelerato grazie alla cosiddetta “Rolling Review”, per mezzo della quale i dati dei diversi studi vengono comunicati e revisionati quasi in tempo reale, riducendo di molto i tempi di indagine.
D: Dopo essersi ammalati una volta, o in seguito alla vaccinazione, si corre il rischio di prendere il COVID di nuovo?
R: Sì. Benché si parli di eventi riscontrati raramente, il virus può infettare anche coloro che hanno già contratto la patologia o si sono sottoposti a vaccinazione, anche se le motivazioni non sono ancora del tutto chiare.
Parte di queste reinfezioni potrebbe ad esempio essere legata all’insorgenza di nuove varianti in grado di eludere le difese sviluppate dal nostro sistema immunitario. Ciononostante, la protezione indotta dal vaccino è da ritenersi molto alta e, assieme ad altri trattamenti terapeutici (come l’utilizzo di anticorpi monoclonali), costituisce la strada per uscire dalla pandemia.
Grazie mille, prof!