di Gioia Zorzi, 3AS
Italo Calvino, nel suo libro “Perché leggere i classici?” scrisse che “un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso”. Forse lo stesso si potrebbe dire di figure che hanno occupato da sempre un posto di rilievo nella storia e nell’immaginario, come Giulio Cesare.
Egli è stato involontariamente circondato da una sorta di aura leggendaria e mitica sin dalla nascita: la gens Iulia era infatti una famiglia patrizia che vantava origini nobilissime, anzi divine, considerando che Iulio (o Ascanio), fondatore della gens che porta il suo nome, è figlio di Enea, a sua volta generato da Venere.
Inoltre, il cursus honorum seguito da Cesare prese più la piega di uno studiato percorso di strumentalizzazione mediatica, che ebbe come obiettivo l’affermazione di Cesare come rex, figura che, a 450 anni dalla fine della monarchia, era paradossalmente invocata e desiderata dal popolo.
Già negli anni conclusivi della guerra civile contro Pompeo, a Roma era stato eretto un considerevole numero di statue del dux vincente, una delle quali era stata posizionata accanto a quelle degli antichi re di Roma, quasi a giustificare le mire di Cesare ad una dominatio totale sulla res publica.
Prima della morte, Cesare aveva contribuito a farsi strada verso un potere praticamente assoluto, grazie anche ai suoi commentarii che, oltre ad aver lo scopo di informare il Senato, avevano secondi fini apologetici e propagandistici: Cesare presentò dunque se stesso come un comandante e stratega dotato di humanitas e clementia.
Molti erano stati i tentativi di incoronazione di Cesare, oltre a quello durante la cerimonia dei Lupercali: essi erano stati simbolici, certo, ma capaci di turbare l’opinione pubblica e forse sfruttati dagli optimates come occasione di prendere il potere.
L’enigmatico complotto fatale per Cesare, avvenuto il giorno delle Idi di marzo del 44 a.C., ha sicuramente contribuito ad accrescere il mistero, la fama e il consenso pubblico attorno alla sua figura; ne è prova il testamento, che prevedeva generose donazioni al popolo romano: non a caso, solo due anni dopo la morte, Cesare venne elevato ufficialmente allo status di divinità dal Senato.
La straordinaria fortuna di uno dei più valorosi comandanti della storia ci ricorda che grandezza non è sinonimo di perfezione: al contrario, quanto più è importante e ammirata una persona, tanto più numerose saranno le critiche e le ombre nella vita di questa, una volta fuori dai riflettori.
Nel 61 d.C., Lucano, nel poema epico Pharsalia, descrisse Cesare come l’archetipo del tiranno che, uccidendo la res publica, pose fine alla libertà dei cittadini: per la storiografia filosenatoria, e quindi filorepubblicana, infatti, Cesare fu sempre visto come una figura dispotica.
In generale, si può constatare come la fortuna di Cesare, nei secoli successivi, sia mutata a seconda del variare del contesto storico, sociale e soprattutto politico.
Dante e Petrarca, uomini di transizione dal Medioevo all’Umanesimo, che auspicavano ad un ritorno della classicità e all’unità d’Italia, guardarono a Cesare con ammirazione.
Dante lo collocò infatti nel Limbo, in compagnia degli Spiriti Magni, nonostante i più illustri optimates fossero invece presentati dal poeta fiorentino nei gironi più bassi dell’Inferno.
Petrarca, pochi decenni dopo, parlò del comandante romano nel De gestis Cesaris, testo che probabilmente faceva parte del De viris illustribus, ma che poi divenne opera a sé stante, ispirata direttamente a De bello gallico e De bello civili di Cesare stesso.
Francesco Petrarca e Dante Alighieri costituiscono però un’eccezione, perché Cesare è stato visto dai rinascimentali come colui che distrusse le tradizionali istituzioni di Roma; invece, i due innovativi poeti, seguendo una concezione provvidenzialistica della storia, erano convinti che Cesare, in quanto iniziatore dell’Impero romano, sotto il quale Dio aveva fatto nascere suo figlio, fosse una figura positiva.
Nel ‘400, Cesare venne considerato uno straordinario stratega da molti autori, mentre nel ‘500 e nel ‘600 tornò a prevalere l’idea che egli fosse un tiranno. Proprio alla fine del XVI secolo, William Shakespeare scrisse la celebre tragedia Julius Caesar, riflettendo sul significato del potere: leggendo i suoi memorabili versi, risulta difficile definire se il protagonista sia Cesare o sia Bruto, in un conflitto interiore tra moralità e amicizia. Nel testo dell’inglese, si proiettano anche le ombre del clima di incertezza legato al fatto che la regina Elisabetta I non avesse ancora nominato un successore al trono, situazione che avrebbe potuto portare ad una eventuale guerra civile.
Nel ‘700, in seguito alla Rivoluzione francese, il popolo, spinto dall’ideale di difesa della Repubblica, celebrò Bruto e i cesaricidi, che avevano fermato il sovrano filomonarchico.
Al contrario, Napoleone nell’Ottocento supportò pubblicamente le gesta di Cesare, essendo una figura capace di supportare e giustificare il suo obiettivo personale, ovvero la monarchia.
Infine, nel ‘900, Benito Mussolini, prima che l’archetipo del tiranno venisse associato alla figura di Augusto, si ispirò al modello di Cesare.
A metà del secolo scorso, la figura del comandante ebbe fortuna anche in letteratura: in particolare, non si può dimenticare Bertold Brecht che, nel 1956, con Gli affari del signor Giulio Cesare, sostenne che il condottiero romano avesse lasciato solo debiti al mondo e niente altro degno di nota, offrendone una connotazione decisamente negativa.
La storia ha da sempre i suoi eroi, nell’ “alterna onnipotenza delle umane sorti”, per dirla con il Foscolo dei Sepolcri, e da sempre si susseguono fasi che ritornano ciclicamente, con mode, personaggi e miti che affascinano più di altri, perché incarnano lo spirito di un’epoca.
Nulla è per sempre. Le persone danno giudizi in base al loro sentire e alla loro cultura, infatti, di per sé, “la storia non giustifica / e non deplora”: questi sono alcuni dei versi di una celebre poesia di Eugenio Montale che forse possono aiutarci a cogliere un importante insegnamento, ovvero che sta a noi singoli uomini cercare di dipanare la matassa di informazioni che si accumulano nel tempo e cogliere il reale valore delle grandi icone del passato, nelle loro luci ed ombre.
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